13 ottobre 2006

Mi ricordo i Pc... picciò

PC… picciò Mi venga un colpo! 25 anni, un quarto di secolo.... Quest’anno ricorre il 25° anniversario della introduzione del Personal Computer. Oggi non ci si fa più caso, tutti lo chiamiamo PC, quella "scatola delle meraviglie" che abbiamo acceso davanti ai nostri occhi e che ci fa da finestra sul mondo. Ma fino a quando la IBM non lanciò sul mercato il modello XT (nel 1981 appunto) il computer era una specie di mostro. Le mie prime esperienze di computer risalgono al lontano (ahimé) 1976 o 77, quando ero ancora uno studente di Ingegneria. Allora per me il computer (anzi, il Calcolatore, notare la C maiuscola) era quella macchina immensa (fate conto che sarebbe entrata a stento nel salotto di casa vostra) e un po’ spaventosa nella quale si inserivano schede di cartoncino adeguatamente bucherellate e che in poche ore (sì, ho detto ore) era in grado di eseguire in Fortran il calcolo strutturale di edifici complessi. Una macchina che si potevano permettere di possedere solo strutture universitarie o grandi industrie. Ricordo che solo nei primi anni 80 mio padre, che aveva uno studio di ingegneria in cui si eseguivano calcoli strutturali (ovviamente solo con l’aiuto di macchinette calcolatrici) si poté permettere un “computer”. Era un Hewlett-Packard (oggi HP) senza schermo, con “ben” 64k di memoria interna (niente hard disk) e con un display grande meno di quello di un odierno cellulare, ma monocromatico e capace solo di caratteri alfanumerici. Costo di allora? Sedici milioni di lire (del 1980, eh?). Sarebbero bastati tranquillamente per comprare una Mercedes di fascia media (per questo noi avevamo solo una Giulia). Ricordo ancora le nottate passate a digitare i dati e ad aspettare (dopo alcune ore) il fatidico “beep” che indicava la fine del calcolo. All’uscita del PC ci fu l’apoteosi, una specie di rivoluzione copernicana. Inizialmente guardato con sospetto, il PC cominciò a prendere piede nella case grazie ai giochi, roba che adesso farebbe piangere di tristezza anche un lattante: Space Invaders, PacMan, tutti in monocromatico. Allora ero un maniaco della programmazione. Mi ci accostai grazie a due piccoli computer che sono entrati nel mito: lo ZX Sinclair e il Commodore 64 (poi 128 e Amiga). La programmazione era in un Basic primordiale, lo schermo rigorosamente monocromatico (“a fosfori verdi o ambra?” era la sola scelta possibile). In un paio d'anni i costi dei PC divennero meno proibitivi. Nel 1984 acquistai un Amstrad XT da 640k con disco rigido di 10 MB (dieci megabytes! ) al prezzo “stracciato” di 3 milioni e mezzo (all’incirca il prezzo di un’utilitaria). Il primo PC sul quale riuscii a lavorare davvero professionalmente era un IBM AT dell’ufficio. Era più o meno il 1985 e quel “mostro” con 640 kb di memoria interna "espandibile a ben 1 MB" con 20 MB di hard-disk era condiviso in ufficio da 6 *fortunati* ingegneri. Io ero tra coloro che ne capivano un po' di più e quindi ero destinato a programmarlo in rigoroso GW-Basic traendoci programmi per calcolo strutturale o di isolamento termico. Per il resto ci si scrivevano le lettere (Word non esisteva, il migliore era WordStar) e solo i più intraprendenti usavano il foglio di calcolo (no, niente Excel, allora andava per la maggiore Lotus 1.2.3) o il primo vero DataBase, che era DBase II e poi DBase III. La grafica? Ancora a puntini… L’interfaccia grafica dei primi schermi a colori non superava il formato VGA di 640x480 pixels (e sembrava già un miracolo). Nessuno aveva mai sentito parlare di mouse, di virus, né tantomeno di Windows, la cui prima versione, scopiazzata da quella geniale della Apple, comparve solo nei primi anni 90. Potrei raccontare ancora parecchio, di questi miei 25 anni e passa alle prese coi computer, divorando riviste specializzate, passando notti insonni a programmare in Visual Basic e in C++ (e anche, lo confesso, scaricare musica e video), smontandone, implementandone, settandone, riparandone e rimontandone a decine per amici e parenti. Ma mi fermo qui, non vorrei farla troppo lunga. Solo mi viene da sorridere ripensando a qualche giorno fa quando, conversando con un trentenne conosciuto da poco, una mia frase sul fatto che mia figlia sia piuttosto brava al computer gli abbia fatto credere che io non ne capissi un tubo e dovessi far conto sulla competenza della Ba per tirare avanti con questa “scatola delle meraviglie”. Ah, beata gioventù… Vaglielo a far capire che il mondo non è iniziato poi da tanto poco... Mi ricordo de Il dito e la luna

08 ottobre 2006

Mi ricordo il primo terremoto violento della mia vita

23/11/1980 Avevo avuto un feroce mal di testa quel giorno là, strano chè non soffrivo di emicranie. Era una giornata molto calda per essere novembre. I suoceri erano stati a pranzo, i cognati erano arrivati nel pomeriggio, mamma era rientrata dalla messa verso le 18 ed era tornato anche mio figlio, che era stato in gita con i boys scout. La domenica volgeva al termine, come tutte le domeniche, con quel pò di malinconia e rottura di scatole per la nuova settimana da affrontare, lavoro, casa, figli, piscina, catechismo, nonni, marito, sorella, amiche, etc, etc. I bambini sul parquet giocavano a tombola, tra un mese sarebbe stato natale , i grandi sorbivano l'ultimo caffè della giornata, io stiravo, come tutte le domeniche pomeriggio. All'improvviso il mal di testa scomparve come se mi avessero tolto un peso dalla testa, ebbi un lieve capogiro, alzai gli occhi e vidi il lampadario della cucina che cominciava ad oscillare. Avvertiì che era il terremoto alla prima oscillazione. Corsi ad aprire la porta, per poter scappare quando fosse tutto finito. Ci mettemmo tutti al centro della cucina e, all'improvviso, il balcone si spalancò, pensai adesso si apre il pavimento e moriamo tutti. La scossa durò un'eternità ebbi il tempo di pensare, le altre volte, mentre me ne rendevo conto, era già passata. Mia madre gridò la sua invocazione al santo "San Gennà è nepute mie" implorava per i nipoti, quel grido mi restò impresso nella mente a lungo. Quando il palazzo finì di oscillare( e al settimo piano si avvertì e come), scendemmo giù e ci andammo a rifugiare davanti alla chiesa, proprio sotto il campanile, che in seguito fu dichiarato pericolante. Il traffico era impazzito scene di panico cercammo di accertarci sulla fine degli altri familiari, ci vedemmo comparire davanti i miei cognati in accappatoio, erano stati colti di sorpresa mentre facevano la doccia. Il posto più sicuro al Vomero era lo stadio collana, qui trascorremmo in macchina la notte. Notizie su notizie, crolli, morti, ruberie, l'Irpinia devastata. Accussì, accussì, accussì. Il 24 faceva un freddo cane. Mi ricordo di Didolasplendida