Mi ricordo il Mondo
Prima i compiti, e poi, alle quattro, tutti in giardino a discutere per due ore sul gioco da fare e andava a finire che ogni volta bisognava fare la Conta. Sotto la cappa del camino…Astamblam…Unci dunci…esistono ancora le Conte? Mio figlio non ne conosce, ma d’altra parte non ha nemmeno mai avuto le croste nelle ginocchia, peccato, io ho ancora una bella cicatrice rotonda, frutto di una gara di salto dal muretto. Una volta non c’erano i cerotti sofisticati di adesso, mia mamma prendeva l’alcool, ché secondo lei l’acqua ossigenata non disinfettava abbastanza, figurati, se non brucia non può disinfettare, e me lo versava direttamente sul ginocchio e guai a fiatare, così la prossima volta stai più attenta. Mi fasciava e subito via, zoppicando, ancora in giardino. La tragedia era il cambio della medicazione, ché la garza si attaccava alla ferita e staccarla era un dramma, tanto che mi sembra di sentirlo ancora adesso il dolore per quello strappo tremendo, che però allora non impediva certo di tornare giù in cortile. I maschi volevano sempre giocare a pallone, e allora in genere si finiva per litigare e noi femmine li abbandonavamo per giocare al Mondo. Dentro il giardino c’erano aiuole e ghiaia, e quindi dovevamo uscire dal cancello e andare di fianco alla casa, in una piccola strada privata, bella e liscia come una lavagna. Sull’asfalto si poteva disegnare, con un sasso, il grande rettangolo del Mondo, con la mezzaluna sulla cima. Lo si divideva in dieci settori numerati, dal primo in basso a destra, 1..2…3..fino al 10, in basso a sinistra. A turno, poi, si lanciava un sasso, piatto e liscio, a mo’ di piattello, l’abilità stava nel farlo cadere nella casella giusta, e, saltando con un piede solo, lo si doveva raccogliere, senza toccare le linee..la uno..la due e via, fino alla dieci.
Se sbagliavi dovevi ricominciare e peggio per te. Con il sasso sulla fronte, e poi sulla spalla, e poi sul dito e, via via sempre più difficile, dovevi passare tutte le caselle, chiedendo “permesso”, e, se ti veniva accordato, nessun problema, il passo era facile, ma c’era sempre una carogna che ti rispondeva ”indietro” e allora dovevi saltare la casella proibita..e il sasso cadeva quasi sempre. La parte più bella era quella finale, quando, ad occhi chiusi, dovevi oltrepassare tutte le caselle del Mondo, senza mai pestare la riga e ad ogni passo chiedevi “cielo?” se ti rispondevano “sereno” proseguivi, se invece la risposta era “nuvoloso” avevi sbagliato e indietro e daccapo. A dir la verità esisteva anche un’altra versione del cielo-sereno, era quella meno fine dei maschi: ham- salam-cotghè… ham-salame-cotechino. E poi tutti a far merenda e a guardare Giramondo il Cinegiornale dei Ragazzi. Non avete capito nulla, vero? Poco male, io ho giocato e adesso sto meglio.
(Ricordo di Francesca Ferrari)
3 Comments:
Ci giocavo anch'io, ma da noi si chiamava "l'ancadinella", con tutta una serie di vocaboli che non ricordo(in siciliano, naturalmente), diversi per ogni "manche".
Sì, però ricordo bene la paura di calpestare le linee, nella manche ad occhi chiusi...
non ho mai giocato a campana o mondo, che ricordo come giochi più frquentati dalle bambine. però a "pallavvelenata" sì
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